Seconda

Sono l’eterna seconda. Il numero due per eccellenza, quasi come se fosse stampato sulla mia fronte in formato gigante. Lo odio. È come essere ultimi, se non peggio. La sensazione di essere arrivata la hai, ma la soddisfazione non c’è, qualcuno migliore di te là fuori c’è e non ha nemmeno bisogno di distruggerti, perché tu distrutta lo sei già. Schiacciata sotto una cifra che non ti descrive, un enorme muro contro cui puoi scagliarti per milioni e milioni di anni, ma che non cadrà mai. Non lo vedrai mai a pezzi. Sei seconda. Arrivi che il nastro dell’arrivo è già tagliato, anche se di pochi centesimi, perché alla fine demordi e non ce la fai. Al posto di far crollare la meta, crolli tu. Non ti rialzi, semplicemente non ne hai le forze; e ti superano in un ultimo scatto, in attimi così sfuggenti che li percepisci solo come un alito di vento sulla pelle -sudata e stanca. Stanca di correre dietro un obiettivo irraggiungibile e vicinissimo, stanca di vivere in affanno perché quel maledetto uno, quella maledetta indipendenza non sarà mai sua. Manca a sicurezza, manca la passione, il desiderio. Stai addirittura affogando nelle lacrime, come Alice. È troppo chiedere un po’ di follia? La vorrei tanto, un’euforia di sensi creata dalla mia stessa immaginazione. Sono la prima, ho quell’uno nelle mani, lo spezzo, indovina, sono due parti.

Buonanotte.

Quante domande vagano nella mente, come mille flutti, volute di spuma che scrosciano alle porte di ogni mio pensiero. Forse dovrei andare, camminare lontano e precipitare dai confini del mondo, mi aspetterebbe una piuma soffice di lacrime: quei pianti soffocati nella notte, urla che sussurrano ‘aiuto’ e che non vogliono farsi sentire. L’orgoglio, brutta bestia, mi assale, ma non mi renderà bella. Perché io bella lo sono già, con tutte quelle crepe che mi solcano le guance e quel masso enorme che preme sul petto, che non mi fa respirare. Potessi almeno polverizzarlo, invece quel parassita mi vive sopra, ruba la mia anima con artigli rocciosi. Pesante, pesante, pesante. Tutti abbiamo quel peso. Chi lo porta sotto gli occhi, chi negli occhi, chi dentro la carne. Graffiata come un disco in vinile usurato, che suona gracchiando e inceppandosi ad ogni giro che compie. Come te, come il cerchio, come la luna, il sole, l’orologio in cucina, le pupille, un buco nero -dove ti getti e ti fermi, dilaniate le carni dalla dimensione del nulla.

Breve, breve è la vita come breve è il tuo orizzonte. Lunga, lunga è la vita come lunga è la tua strada.

Non sorrido. Le labbra immobili in un ultimo spasmo di dolore misto ad un sadico piacere. Sono un ologramma di errori vissuti sulla propria pelle, accanto agli abissi, vicino le nuvole, una cornice di perle di fiume che contiene carbone. Il mondo non lo vedo più, offuscato dal peccato e la finzione, pieno di altri mondi ed altri ancora. Allora io ai confini della Terra ci vado davvero. Forse non mi attenderà una soffice piuma, ma un aguzzo coltello. Affilato mi trafiggerà e spezzerà il mio masso. Ma lì morirò, stuprati tutti i limiti, io cadrò morta. Meglio questo peso o la morte? Meglio ciò che sarò o ciò che ero? Forse ciò che sono. Le mie lancette ticchettano più veloci, il mio tempo non mi basta. E allora sorrido.

Ispirazione.

L’ispirazione è passeggera ed io semplicemente sono in balia di queste onde che mi spingono dentro fantasia e che al contempo mi trascinano verso la realtà. È poi così strano non avere niente di cui scrivere? Credo sia una delle prime volte in cui non ho proprio nulla: inizio e dopo due righe tutto mi sembra insulso, banale. Allora ricomincio -dovrei forse dirvi che è la terza volta che riscrivo quest’articolo?- e poi cancello direttamente tutto. Perché? Non lo so nemmeno io, forse qualcosa nella mia testa si è scheggiato, forse non so cosa scrivere perché la mia vita è normalissima e la mente rispecchia esattamente ciò che vivo -forse. Anche questo post, non lo vedete anche voi? È solo un agglomerato di pensieri che si rincorrono per non perdersi, anche se uniti non sono stati mai. Quindi vi starete chiedendo il perché di questo post. Beh, non lo so nemmeno io. Sono poche righe per dirvi che io comunque sono sempre qui, anche se non ho niente di interessante da dire. Per ora.

Lettera a me stessa

Come si inizia una lettera indirizzata a se stessi? Non chiedetelo a me, io mi scrivo perché a volte i miei pensieri si intersecano così tanto tra loro che ritrovarli sembra una missione impossibile. Quindi mi scrivo. Come sto? Sto bene, ho praticamente finito la scuola, lunedì parto e credo di non essere stata rimandata in nessuna materia. E allora perché la pancia mi brucia? Perché la testa mi gira? Perché gli occhi danno sempre previsione di imminente tempesta? Ho sedici anni, non dovrei avere questi problemi. Dovrei uscire con gli amici, non scrivere ancora ed ancora, non riversare tutto ciò che mi passa per la testa su una terra sterile, dove nessuno pianta semi da secoli. E questa terra sembra casa mia. Vedo sguardi infuocati, sento la mia calma lacerarsi ad ogni lacrima di rabbia che mi sfugge, che vorrei non dover far uscire. In questo periodo tutti i miei ideali si stanno lentamente sgretolando, non so se per colpa mia o dell’età. Quindi sto bene, ma sto anche male. Sto bene. Sto bene come il mare: fuori le onde sono dolci e cadenzate, ma sotto la superficie accade di tutto. Guerre, accordi, tregue non abbastanza durature. È una continua sfida a me stessa. Per questo forse mi sto scrivendo, per stipulare un patto ben saldo. Cara me, vorrei tanto sentirmi libera di fare ciò che voglio, vorrei tanto sentirmi libera di urlare, gridare a squarciagola, vorrei tanto essere me, senza quella maledetta facciata che mi impongo di proporre al mondo. È davvero così difficile, ti chiederai. Sì, lo è. È stramaledettamente difficile. Dopo una vita passata a chinare il capo, adesso voglio camminare a testa alta, e non ne ho il coraggio. Non ho un cuor di leone. Non riesco a rispondere a mio padre e vomitargli addosso tutto ciò che provo. Non so se ci riuscirò mai. Sì può stare bene e contemporaneamente male? Si può essere per metà buio e luce? Si possono avere due personalità opposte in uno stesso corpo? Una parte di me vuole correre a gambe levate, l’altra accasciarsi per tutta la sua vita. Dolce me, cosa posso fare? Non lo sai nemmeno tu. Non lo sa nemmeno Dio.

Problemi di pigrizia.

Sono sdraiata nel mio letto e se potessi non mi alzerei più. E non lo dico solo perché il mondo là fuori è gelido. Non lo dico solo perché comporterebbe vestirsi e lavarsi i denti. Lo dico anche perché sono una vittima della pigrizia, non posso guarire.
L’ozio, Catullo, ti è molesto.
Pensa a me: non è solo molesto, ma insito nella mia persona, radicato nei miei ideali e non posso niente contro di lui. O meglio potrei, ma come ho detto sono pigra, non riesco a lanciarmi in nulla, non riesco a lasciarmi trasportare da qualcosa perché penso a quanto sarà difficile rimettere tutto in ordine. Lo so, non mi invidiate. Non mi invidierei nemmeno io. Dato che mi sono aperta in queste poche righe continuo a farlo, squarciando la ferita. Oggi mia mamma vuole portarmi al mare, ma sa perfettamente quanto io lo odi -ne è segno la mia pelle bianchissima. E allora perché continui a chiederlo? Poi non ci potrei nemmeno venire se lo volessi davvero. Devo fare assolutamente una ceretta.
Ma qualcuno mi ascolta in questo dannato mondo?
Evidentemente no. Me ne farò una ragione prima o poi.

Nero.

‘Sai volevo andarmene da qui, staccarmi dal suolo e camminare proprio come tutti gli esseri umani. Non si rendono conto di quali fortune hanno. Anche il solo parlare, ascoltare, sognare. Noi siamo destinati ad un’esistenza inetta, loro, che potrebbero capovolgere tutto, invece non si muovono. Si rintanano nei loro bachi, da dove non uscirà mai seta ma solo nero. Un nero marcio e putrido in cui annegano e nuotano, e dove sono perfettamente amalgamati.

Se.

 Se urli le parole scappano dalla tua bocca ma sono mute. Se piangi le lacrime scendono finte. Se sorridi falsa la felicità ti sfugge.

Se stai in silenzio gridi squarciandoti la gola. Se non piangi lacrime si sangue scorrono rumorose sul tuo petto. Ma se sorridi, allora la felicità sorriderà di riflesso.

Vorr..Voglio.

Sarebbe bello svegliarsi nel corpo di un’altra persona, con la sua vita da vivere, proprio come fanno sempre nei film, sempre per colpa dei biscotti della fortuna. Che i Cinesi conoscano il segreto della trasmigrazione delle anime prima della morte? Probabilmente sì, e magari è anche scritto da qualche parte, solo che non siamo capaci di leggerlo. Il Cinese è davvero una lingua difficile.

Fatto sta che vorrei cambiare, farmi un taglio di capelli trasgressivo, comprare nuovi vestiti, ma soprattutto vorrei diventare ciò che non sono. Vorrei fregarmene di ciò che penso sia giusto o sbagliato, abbattendo tutte le pareti che mi sono costruita attorno giorno per giorno, ponendomi da sola i miei confini, impaurita di cosa potrei trovare al di fuori di quelle quattro mura. E vorrei averne anche il coraggio. Ci sono tante cose che vorrei e forse anche smetterla di dire vorrei e mettere questo dannato verbo non al condizionale.

Io voglio essere quello che non sono, io voglio credere in quello che reputo impossibile, io voglio fare quello che non mi permetto.

Io voglio, tutto e subito.

Il problema rimane però, forse dovrei davvero imparare a leggere il Cinese, almeno scopro la formula. Mi trasformerei in Angelina Jolie? No. In Bill Gates? No. In mia mamma? Sì. Vorrei essere mia mamma. Una cosa abbastanza triste da dire, ma io credo che lei sia una delle perone più felici al mondo e l’unica cosa che voglio ora è essere felice.